A colloquio con Susanna De Angelis Gardel
Di Eduardo Grottanelli De’ Santi
Nell’accezione comune “autodidatta” lascia intendere una persona che approccia una determinata materia senza avere alle spalle particolari studi o percorsi formativi. Se poi l’autodidatta nel corso della sua attività “osa” addirittura cimentarsi in discipline diverse, allora si consolida l’idea di essere di fronte a un “dilettante”, per quanto bravo, e non già a un professionista serio e preparato.
Nulla di più errato quando il personaggio in questione è Susanna De Angelis Gardel, che nella sua personale ricerca artistica non ama l’attribuzione di facili etichette (pittrice, scultrice e altro ancora da attendersi nei prossimi anni), preferendo piuttosto spiegare il suo approccio con l’arte come il punto di arrivo o, meglio, lo sbocco naturale di una ricerca interiore intrapresa molto tempo fa con grande serietà per soddisfare la parte più profonda e al tempo stesso più curiosa della sua personalità: quella che ha sempre avuto sete di conoscenza.
“Ho seguito tecniche che mi hanno fatto conoscere, seppur in piccolissima parte, ciò che siamo realmente, che è molto diverso da quello che spesso crediamo di essere. Mi rassicurava il fatto che tutte comunque, anche se ognuna in modo differente, alla fine mi confermassero la grandezza del nostro essere. Durante una di queste pratiche, ho ‘visto’ me stessa scrivere il mio nome con grande calma e serenità su tutti i muri della casa, nessuno escluso. Non potevo immaginare che da lì a pochi anni questa visualizzazione si sarebbe concretizzata in quadri dipinti e firmati da me.”
Esiste un linguaggio universale dell’arte che prende forma e visibilità attraverso la ricerca artistica e spirituale. Questa lingua lega passato, presente e futuro, per mezzo di un sentimento insito negli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. L’arte è ricerca essenziale, si riferisce all’umanità in generale, ma al tempo stesso mantiene la propria dimensione individuale di indagine di se stessi e del mondo, che si forma nell’espressione dell’interiorità dell’artista, libero da qualsiasi vincolo, obbligo e dovere.
“Lavorando, mi sono resa conto che i miei progetti tendono ad avere un contenuto che riguarda la mia persona ma che è anche universale. Non si tratta di una scelta ma di un’esigenza, evidentemente, perché mentre sviluppo un tema e ne approfondisco i valori dentro di me mi sembra di condividerli anche con gli altri. Se poi chi guarda un mio quadro o una mia scultura dà una sua personale interpretazione, per me è solo un valore aggiunto.”
Spesso l’arte viene considerata una realtà troppo nobile e alta per essere patrimonio anche di persone “comuni”, ma così non è nella concezione di questa artista. Al contrario, l’arte ha spesso la capacità di condurre l’uomo a rallentare il proprio fluire e rifluire di azioni e passioni e a immobilizzare, anche se solo per un istante, la propria vita interiore permettendogli di guardarla. In questa condizione più “contemplativa” di cui l’arte ci rende partecipi, ci sentiamo più consapevoli, più in sintonia gli uni con gli altri, più disponibili a fermarci per cercare di cogliere, per quanto possibile, il vero senso della nostra esistenza.
“L’arte è dentro ognuno di noi, nessuno escluso, e non la si può definire così come non si può definire cos’è l’anima. Io credo che l’anima esprima a diversi livelli, in base alla sua maturità, l’arte che potenzialmente racchiude in se stessa. Tutto è dentro di noi: pittura, scultura, architettura, musica sono espressioni artistiche strettamente collegate tra loro proprio in quanto frutto di una creatività innata e attraverso le quali l’artista trasmette emozioni che spesso ‘risuonano’ nello spettatore coinvolgendolo.”
Così, ben prima di iniziare a dipingere, Susanna De Angelis era già consapevole che l’arte, in ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana
di creatività e rappresenta probabilmente uno dei momenti più “sacri” che permettono all’uomo di esteriorizzare la propria interiorità. L’arte diventa dunque un linguaggio per comunicare con gli altri. Il filosofo Maritain affermava che “l’arte […] è l’agente di spiritualizzazione più naturale di cui abbia bisogno la comunità umana”.
A questa nuova sfida nel mondo dell’arte, con la pittura prima e la scultura poi, corrisponde l’emergere di un altro peculiare aspetto del carattere di Susanna De Angelis: la serietà, la meticolosità, il rigore con cui affronta ogni impegno, nella vita (una famiglia, un marito, due figli) così come nel suo percorso artistico.
I critici d’arte hanno riconosciuto in lei una grande preparazione tecnica, acquisita, ancora una volta, grazie a uno straordinario impegno e a un suo personale talento. “Ho creato le mie tecniche sperimentando il più possibile materiali, tele, colori, pennelli e poi prove su prove, tante domande a negozi di belle arti, disegni, bozzetti ecc. La sperimentazione occupa molto tempo ma è alla base di un buon lavoro. Ho amato da subito la morbidezza della pittura a olio, che ho adottato per quasi tutti i miei lavori.”
Viaggi, animali, volti e persone, momenti della vita reale sono così entrati nel tempo a far parte della sua produzione artistica. “Ho iniziato con una pittura figurativa perché avevo molto materiale fotografico cui ispirarmi, o forse è meglio dire sfidarmi. Molti viaggi fatti, quindi molti spunti e tanto amore anche per la fotografia. Ho scelto di misurarmi con i grandi animali della savana: leoni, leopardi, ghepardi, zebre, giraffe, gnu; poi anche gorilla, tigri e tanti altri. Passato quel ‘mal d’Africa’ che si è concretizzato nel progetto intitolato Creatures, ho voluto esplorare tecniche nuove e dipingere figure umane. Non ho più lavorato sulla tela bianca, ma sul suo retro: ho intitolato questo nuovo progetto Creatures 2. I soggetti mi sono stati ispirati da persone incontrate per strada, come il vecchio guatemalteco o il mendicante indiano seduto per terra o la bambina dell’Honduras con la sua cesta, o ancora il piccolo cinese dello Yunnan che, mezzo nudo, mangia da solo seduto sul marciapiede. Queste persone hanno attirato la mia attenzione e mi hanno lasciato un segno. Non so perché ho voluto rappresentare tutte queste ‘creature’ su tele così grandi, me lo sono chiesto più volte ma non ho ancora una risposta.”
La regola di vita semplice e rigorosa, sempre gioiosamente applicata, del fare del proprio meglio e soprattutto di farlo per se stessa, porta l’artista all’unione tra conoscenza materiale e abilità manuale: mente e mano funzionano rinforzandosi, l’una insegna all’altra e viceversa.
L’incontro con la scultura rappresenta dunque quasi la naturale evoluzione di un percorso personale.
“Con la pittura ho passato più di dieci anni in felice solitudine. Evidentemente quella condizione era ciò di cui avevo bisogno in quel periodo, anche se non ne ero completamente consapevole. La scultura invece mi è balzata incontro con un entusiasmo che ha spiazzato anche me. La sua tridimensionalità mi ha affascinato fin dal primo approccio e la sua ‘forza’ è diventata all’istante la mia. Il piacere di toccare la materia e sentire nelle mie mani il potere di plasmarla mi dava una sensazione straordinaria. Il mio lavoro si poteva finalmente articolare nello spazio. Non sentivo più la necessità di stare da sola. Ecco che, come se fosse stata solo una decisione e non un bisogno interiore, mi sono trovata catapultata in una fonderia con persone che ho scoperto poi essere meravigliose, tutte molto competenti nella propria specializzazione. Credo che ci sia in noi un’intelligenza innata che ci guida, occorre solo intercettarla. In tal modo è nato questo progetto nell’ambito della scultura che ho intitolato Karékla, una sedia per l’anima. Con esso ho voluto rappresentare il turbinio di pensieri che spesso agita la nostra mente e se ne impadronisce. Paure, pregiudizi, storie, speranze… un dialogo interiore del quale molto spesso non siamo neppure consapevoli. Ho raffigurato questi pensieri, che sono forme di
energia, con delle piccole sedie che si rincorrono e si aggrovigliano creando strane forme dentro e fuori la nostra mente. A volte vorremmo che questo meccanismo
che ci imprigiona si allentasse e che i nostri pensieri si acquietassero, si ‘sedessero’, lasciando spazio a un sentimento di pace. La sedia è l’oggetto che maggiormente evoca il senso del fermarsi, del riposare, dello ‘stare’. Ho creato piccole sedie dalla seduta ‘piena’ che, nella mia visione, raffigurano i pensieri carichi di energia, e altre ‘vuote’ che rappresentano i pensieri la cui energia si è finalmente dissolta. La figura del gallo, invece, si ricollega alla simbologia della rinascita interiore, del risveglio.”
Negazione, rimozione, distorsione e occultamento. In queste sculture i volti appaiono solo come reperti antichi ricostruiti dagli occhi e dalla mente di chi guarda. Eppure non sembrano nascondere qualcosa ma, al contrario, comunicano in modo prepotente tutte le molteplici forme che assume il travaglio interiore: incomunicabilità e solitudine strisciano intorno a queste teste, oppure, a volte, sembrano quasi esplodere in forme diverse, esprimendo estro, creatività e fantasia.
La scelta dei titoli in greco per le sculture e le figure dei visi assolutamente astratte, senza espressione, evoca un “senza tempo” e una “universalità” che rendono queste opere straordinariamente partecipi della più profonda e intima condizione umana.
Un’artista al bordo di un lago e nel cuore delle giungle
Di Michele Fazioli
Michele Fazioli Perché dunque gli animali, ma soprattutto perché solo rigorosamente animali e per di più selvaggi, fieri o mansueti, immobili o colti in un balzo?
Susanna De Angelis Perché mi appassionano molto di più di altri soggetti: mi comunicano bellezza, perfezione, energia. E poi perché ho voluto mantenere un filo conduttore in questa mia prima fase di produzione. Sto già progettando, però, una serie di opere che sarà un passaggio dall’animale all’essere umano: sguardi, combinazioni, sovrapposizioni, non so ancora bene, ma questo “sentire” sta per prendere forma. Sarà un “Creatures 2”.
MF Dall’animale all’uomo, dunque, un percorso quasi evolutivo, forse una inconscia pista darwiniana che dall’istintività primordiale sbocchi sullo spettacolo ineffabile dell’umano… O azzardo troppo?
SDA Non mi sembra un’affermazione azzardata, anzi è una lettura che condivido.
MF Ma torniamo al complesso delle opere di ieri e di quelle attuali, quelle esposte e presenti nel catalogo, insomma a questa prima e (a quanto è dato di capire) non ultima fase della creatività sua: la creatura animale istintiva, l’essere vivente forte, bello, mansueto o feroce ma non umano: desiderio di conoscere, di varcare una soglia di mistero di natura?
SDA Sicuramente la scelta di ritrarre questo tipo di creature che sono tra le più maestose ed affascinanti del nostro pianeta, nasce dal desiderio di varcare, almeno con la fantasia, quella barriera di mistero e inaccessibilità che si frappone tra loro e me. Mentre le dipingo, sia nella fase iniziale che durante l’esecuzione, sono a un palmo da loro e sta a me rendere al meglio la loro bellezza, la loro forza espressiva.
MF Strisce, macchie, sinuosità, balzi trattenuti, da cui sprigiona quasi una sorta di magia, vero?
SDA Sì, è così per tutte le creature e non solo per le più belle ed eleganti. Ho ancora nel cuore il ricordo di alcune iene che, illuminate dalla luce rosata dell’alba, nella sacralità di un silenzio assoluto, stavano allattando i loro piccoli. La magia di quell’immagine è stata per me fonte di nutrimento per l’anima.
MF Istinto misterioso dell’animalità come mondo altro, come sensualità della natura?
SDA Sì, c’è grande sensualità nella natura: la si vede, la si sente, la si vive. Non penso solo, per esempio, alla sensualità dell’incedere dei felini o al volo di un’aquila ma ritengo che ci sia tanta sensualità anche in un tramonto come in un’alba. È la magia del Creato che racchiude in sé pace, silenzio, mistero. Tanto sensuale è la natura che può provocare nell’essere umano, un satori: un brivido di connessione con il Tutto che può durare alcuni secondi o anche parecchi minuti. È una sensazione rarissima che, in un momento di assoluta quiete e apertura, quasi all’improvviso, fa accedere a qualcosa di sconosciuto, forse dimenticato, ma a cui si ha la certezza di appartenere.
MF Creature splendide ed inavvicinabili, ammirazione e forse persino desiderio di diversità…
SDA Si, è vero, io sostengo in un mio testo, Creatures, che appare nel catalogo, a proposito degli animali in generale, che loro sono quello che io vorrei essere ed ancora non sono… e poi spiego il perché. Dunque, non sono lontana dalla concezione di Jung, quando parla del primordiale misterioso, racchiuso dentro di noi.
MF Iperrealismo istintivo o voluto? Realismo dettagliato, ossessivamente esatto…
SDA Cerco di evitare le incertezze nel tratto, amo la precisione e quindi credo che il mio sia un realismo istintivo. Sono molto attenta però, sia nel lavoro che nella vita, a non scivolare nel perfezionismo perché ritengo che sia qualcosa da cui sia meglio tenersi alla larga. È lì che vedo eventualmente un realismo ossessivo. È per questo che, quando mi accorgo di indulgere eccessivamente sulla precisione del dettaglio, mi torna in mente l’ironia di Dalì, il quale diceva che non dobbiamo avere paura della perfezione perché, intanto, non la raggiungeremo mai.
MF Come mai questa vocazione in età adulta? Voluta, cercata, capitata, stupefacente?
SDA Io penso che ci sia un disegno, o un rotolo di vita, come lo definisco io, per ognuno di noi. C’è chi scopre le proprie attitudini, le proprie vocazioni, molto presto, chi più tardi e chi mai, per apparenti molteplici ragioni. Mi ha stupito, in effetti, la scoperta di questa insospettata passione e la determinazione che mi ha accompagnato in questi sei anni di entusiasmante lavoro.
MF Lei ha cominciato a dipingere sul serio nel 2006, l’anno di avvenimenti intensi, anche dolorosi, come la scomparsa repentina di sua madre. Lei crede che una maggior sensibilità e una tensione emotiva forte possano avere in qualche modo snidato in lei qualcosa che restava in sonno ma che preesisteva? Insomma: il talento non si inventa lì per lì, e allora lei possedeva senza saperlo il filo di una vocazione, sprigionata (liberata) infine da eventi esterni.
SDA Io ho cominciato a dipingere tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006. Mia mamma ci ha lasciati nel dicembre del 2006. Ha fatto in tempo a vedere i miei primissimi quadri che naturalmente nascevano e si definivano con la lentezza che deriva da tutte quelle difficoltà che incontra un’autodidatta quale io sono. Sicuramente quel dolorosissimo evento mi ha dato una forte determinazione a proseguire, o meglio, a rifugiarmi in quello che inizialmente consideravo soltanto un “gioco che mi riusciva bene”. Credo che lei abbia ragione: forse non ero consapevole che in me vi fosse da sempre il filo di quella vocazione. Ricordo, nei miei primi sei anni di vita, le giornate felici passate a disegnare e a colorare in compagnia di una mamma serena, innamorata di me, ed io di lei.
MF Lei ha avuto nell’ultimo decennio un lungo percorso di degustazioni della bellezza (musica, arte, viaggi) ma anche di approfondimento di domande esistenziali, di perlustrazioni dell’inconscio e del mistero. Imbattendosi nella chiropratica come paziente (i segni del caso: uno dei suoi due figli oggi ê chiropratico, l’altro si cimenta nell’ebbrezza e nella sfida delle corse automobilistiche come pilota…) lei ha scoperto che dentro l’uomo e intorno all’uomo si muovono energie spesso inconoscibili ma delle quali lei non dubita. E questa energia umana e al tempo stesso quasi cosmica forse ha avuto due esiti personali, per lei. Da una parte l’ha aiutata a far emergere una vocazione creativa rimasta silente. Dall’altra l’ha portata a soggetti a loro volta pieni di energia vitale e di mistero naturale. Lei sente all’opera, quando lavora, la traccia di quella fonte di energia?
SDA Sì, la sento scorrere fin dall’inizio, cioè fin da quando tratteggio l’animale con la matita. Ovviamente il “sentire” è più forte quando pian piano l’immagine si concretizza sotto la mano intanto che definisco la mia creatura col pennello. C’è uno scambio tra di noi: lei mi manda energie cariche di forza, fierezza e perfezione, mentre io, idealmente, penetro in lei ed è come se dipingessi me stessa.
MF Comunque lei, all’inizio del 2006, riassume i dolori, i segni, le percezioni di energia, lo scontento per un desiderio non appagato di creatività e comincia a dipingere. Si potrebbe ipotizzare una specie di fuga, in parte, dal reale sublimata nell’arte.
SDA Non parlerei di fuga ma, al contrario, di desiderio di una maggior comprensione e connessione con un mondo, quello animale, che potrebbe essere fonte di arricchimento per noi. Noi abbiamo, o possiamo accedere alla Consapevolezza, loro no, però noi possiamo imparare o riscoprire tanto di utile da loro e non viceversa. Un esempio fra tanti potrebbe essere quello di imparare a percepire il “ruggito del leone” a grandi distanze… Alcuni di noi non ne sono capaci e si infilano in situazioni dalle quali se ne escono si ritrovano magari delusi, umiliati, sconfitti. Ma ci sono tanti altri insegnamenti che potremmo cogliere: la collaborazione, per esempio. Il richiamo di un uccello che avvisa gli altri animali della presenza di un predatore, è qualcosa che ci può richiamare all’essere solidali di fronte alle difficoltà e al pericolo. Tanti sarebbero i possibili esempi.
MF I suoi luoghi dell’anima?
SDA La mia casa è il luogo della mia anima. Ma se non fosse la casa in cui abito adesso, alla quale per altro sono affezionatissima, sarebbe un’altra o un’altra ancora. La mia casa è dove io scelgo di stare e, dove scelgo di stare è il luogo dove la mia anima sta bene. Poi, più in generale, la natura è il luogo, per eccellenza, dove l’anima sta bene e si espande.
MF Dipingere è anche fatica, impegno attento, rigore, disciplina quotidiana.
SDA Sì, ma, come per altri lavori, viene ampiamente ripagato se si ottiene un risultato soddisfacente. Ho iniziato a dipingere con un istintivo (iper)realismo perché pensavo che solo così avrei capito cosa sarei stata capace di fare. Non ho frequentato né scuole d’arte, né corsi. Ho iniziato con la pittura ad olio che ancora adesso prediligo e i miei primissimi quadri mi hanno incoraggiato a proseguire. Non ho mai amato fare “bozzetti” anche se, in alcuni casi, mi avrebbero sicuramente reso la vita meno difficile. Quella procedura mi annoiava allora come adesso, quindi continuo a buttarmi direttamente sulla tela con entusiasmo e una buona dose di coraggio. Amo sempre di più dare ai miei soggetti un taglio fotografico, particolare e non scontato. Non pensavo che la fotografia avrebbe potuto incidere così tanto sui miei lavori, ma tutto è nato da questa passione che ha mio marito e che condivide con me il gusto, non tanto della bella foto, quanto della ricerca del soggetto particolare, dello scatto rubato, dello sguardo intenso e inusuale. Quando trovo il soggetto che ritengo adatto per farne un quadro, magari in una posizione un po’ particolare, ironica, come per esempio le zebre riprese tutte in fila di schiena, o il leopardo colto nel momento in cui si gratta e poi scavalca un grosso tronco e se ne va, ecco, lì, io inizio il mio quadro con un entusiasmo tale che mi porta a lavorare anche sette/otto ore al giorno e poi, magari, di notte, in sogno, ci lavoro ancora un po’!
MF L’iperrealismo significa anche attenzione ad ogni dettaglio, anche al minimo battito di esseri o cose banali.
SDA Anche una banalità potrebbe essere un gran soggetto sia da fotografare che da dipingere. La scelta non è difficile, ma la ricerca sì: porta via una quantità di tempo incredibile. Per quanto riguarda il mio (iper)realismo sono molto lontana, comunque, da quel movimento artistico americano di fine anni sessanta, capitanato da Richard Estes, settantacinquenne dell’Illinois, dove, con un’esattezza esasperata si riproducevano su tela, immagini raccolte con l’aiuto della macchina fotografica. Iperrealismo o meglio, fotorealismo di vetrine scintillanti di negozi, di stazioni della metropolitana, di scorci di intere avenues con carrozzerie sfolgoranti su uno sfondo di cieli azzurri e nuvole candide. Mi entusiasmo quando qualcuno mi chiede delucidazioni sulle mie tecniche. Sì, perché la “creatura” è una, cioè l’animale, ma le tecniche che mi sono inventata sono diverse sia per voglia di sperimentare, sia perché ognuno di loro ha un “pelo” diverso. Accidenti se è diverso! Il pelo della tigre è ben altro da quello del leopardo e lo stesso ghepardo è più arruffato di un leopardo, per non parlare del pelo del gorilla, di quello raso delle zebre, delle setole del maiale o delle rugosità dell’elefante. Mi sono divertita molto a trovare, con l’acrilico, una tecnica che ritengo un po’ particolare, che si basa sull’uso del solo colore nero, mentre il bianco che ne risulta è dato dal risparmio della tela stessa. Quindi i “famigerati” baffi che quando li tracciavo ad olio mi costringevano a trattenere il respiro per non sbagliare, con la mia tecnica in acrilico, risultano da un contorno tracciato col nero. È un lavoro di grande attenzione e precisione perché non c’è margine di errore altrimenti l’unica possibilità è far deviare il baffo da un’altra parte! Non si può correggere col bianco sul nero su di una tela bianca non trattata. Gli occhi sono l’ultima parte che dipingo. Ho lavorato oltre due mesi al gorilla chiedendomi spesso “e se gli occhi poi mi verranno brutti che faccio? Lo butto?” È un po’ una sfida con me stessa. Non avevo mai fatto un animale così impegnativo prima del gorilla e pensare di lavorare così a lungo, sapendo che la bellezza e la riuscita del quadro si sarebbe basata al novanta per cento sullo sguardo, non mi dava pace, ma mi dava l’adrenalina necessaria per andare avanti con determinazione e coraggio.
MF Le tecniche. Olio, acrilico, tecniche diverse. La tecnica è uno strumento e anche lo strumento cambia. Ora ha raggiunto una sorta di “maturità” tecnica?
SDA Amo sia la tecnica ad olio che quella ad acrilico anche se, comunque, prediligo l’olio in quanto permette sfumature e morbidezze irraggiungibili con il solo acrilico. Secondo me si può pensare di avere raggiunto una maturità tecnica, solo se ci si sente appagati dalle scoperte fatte e dagli obbiettivi raggiunti. Io ho tanto da imparare, da sperimentare e da scoprire. Artisticamente parlando, sono “giovanissima”!! Scoprire nuove tecniche è un po’ come scoprire mondi nuovi. Ci si appassiona, le si vaglia, le si passa al setaccio fino all’esasperazione, per poi abbandonarle per qualcosa di ancora più nuovo: qualcosa che dia “energie più incontaminate” cioè altre tecniche ancora tutte da sperimentare e dalle quali farsi nuovamente e pienamente coinvolgere. Tutta questa passione è anche fatica, disciplina, impegno.
MF Se pensa alla sua infanzia, lei intravede segni premonitori della sua futura vocazione pittorica? Intendo non tanto l’abilità eventuale nel disegno ma anche e soprattutto un istinto, un’inclinazione per un linguaggio creativo e per una creatività orientata al selvaggio, al mistero.
SDA No, sinceramente, non intravedo negli anni della mia infanzia segni di creatività orientata al selvaggio o al mistero. Ricordo, però, una bambina innamorata, tra i tanti suoi amici animali di peluche, di una “enorme” tigre di sessanta centimetri sulla quale riversava molte delle sue fantasie, del suo senso del misterioso, rapita dal fascino che quell’animale selvaggio proiettava su di lei. Ho ancora quella tigre.
MF Pavese diceva che tutto si gioca in qualche modo negli intensi anni dell’infanzia e della preadolescenza, poi tutto quello che faremo nella vita sarà un richiamo misterioso a quelle esperienze decisive: concorda, un poco?
SDA Concordo pienamente con le affermazioni di Cesare Pavese. Gli anni dell’infanzia e della pre-adolescenza sono anni importantissimi per lo sviluppo evolutivo nel bambino. In quegli anni si determinano stabilità ed equilibrio psichico. Come ho già detto, quei primi anni passati serenamente con la mia mamma e il mio papà, sono stati fondamentali per me perché mi hanno consentito di affrontare le difficoltà che poi mi si sono presentate nella vita, con stabilità, con equilibrio e con una buona dose di “pienezza”, di “ricchezza” che sentivo dentro di me e che sicuramente mi arrivava da quel fortunato imprinting che hanno avuto la mia anima e la mia psiche. È un bagaglio personale che, se si ha la fortuna di possedere, nessuno mai potrà rubare. Ogni bambino dovrebbe avere il suo… È per questo che ritengo che la protezione dell’infanzia debba essere il focus dell’agenda politica di ogni Paese, sulla nostra Terra.
MF Se guarda davanti a sé, certamente lei intravede fasi nuove e, come diceva prima, anche il cimento con la figura umana. Quali quadri riesce a pensare, quali mondi intende esplorare? Ma, soprattutto: avrà sempre nostalgia e attrazione per i suoi animali con cui ha vissuto la sua conversione creativa?
SDA Sto ipotizzando, come ho già detto, un “Creatures 2”. Probabilmente mi sposterò su soggetti umani o creerò un passaggio tra loro e le creature consapevoli. Sento molto, intorno a me, la presenza del Creato: in qualche modo devo contattarla… I modi saranno i miei, i miei soliti: rispetto, amore, ironia, taglio fotografico. L’amore che provo per gli animali non mi verrà mai meno, quindi non voglio parlare di nostalgia anche perché in qualche angolo nascosto dei miei prossimi quadri un posto per loro ci sarà, probabilmente, sempre.